di Carlo Freccero
Un format dedicato ad una scuola di giornalismo, non può non prendere le mosse che da una riflessione del giornalismo stesso. O meglio, dallo stato attuale del giornalismo.
Come del resto tutte le cose, il giornalismo ha cambiato molte immagini nel corso del tempo.
Pensiamo a due film Holliwoodiani che sintetizzano una visione del giornalismo legata allo spirito del tempo.
Quarto potere (Citizen Kane), di Orson Welles del 1941. Qui la stampa, come riassume il titolo italiano del film, è vista come la gestione del potere. Con i suoi giornali Kane prende posizione su tutti i principali eventi della politica internazionale e ne influenza gli esiti. È una sorta di “burattinaio” dell’opinione pubblica. ‘Tutti gli uomini del presidente’ è un film di Alan J. Pakula del 1976. Lo scenario è totalmente cambiato. Il giornalismo, il giornalismo d’inchiesta, è l’unico strumento con cui è possibile anche per due giornalisti alle prime armi contrastare il gioco complesso del potere, sino a far dimettere il presidente degli Stati Uniti.
Il giornalista è presentato come un eroe che armato solo dei suoi strumenti investigativi, può opporsi come un nuovo Davide a Golia, ai giganti della politica.
Per tutti gli anni della contestazione (gli anni ’70) il concetto di controinformazione rimane un mito ed un faro per il giornalismo e fa della scelta della professione di giornalista, una sorta di vocazione.
Oggi anche il giornalismo è mainstream, cultura di massa, omologazione, allineamento alle opinioni della maggioranza.
Un giornalismo d’inchiesta presuppone una verità da rivelare ed un pensiero critico con cui affrontare le apparenze delle cose.
Tramontato il mito della verità ed emersa con prepotenza la nozione che il vero si identifica con senso comune, l’opinione della maggioranza, il giornalismo perde la sua spinta ideale per diventare uno strumento di fabbricazione e di reiterazione del conformismo e del consenso. Tutti si gettano sulla notizia più diffusa. Nessuno pensa di dover cercare una verità sotto l’apparenza delle cose. Chi riesce ad interagire con l’agenda dei media, ottiene visibilità e credibilità.
Abbiamo oggi sotto gli occhi il fenomeno Renzi. Da semisconosciuto sindaco di Firenze, è riuscito gestendo la comunicazione sulle sue “Leopolde”, a conquistare il centro della scena. Oggi i giornali parlano solo di lui e il suo consenso è in salita.
La grande frattura tra giornalismo d’inchiesta ed informazione mainstream affonda, ancora una volta le sue radici nelle logiche che la televisione commerciale introduce negli anni ’80.
La televisione commerciale deve catturare pubblico, audience, per rendersi gradita agli investitori pubblicitari. Le scelte della maggioranza diventano essenziali. E tutto quello che è minoritario, dalle avanguardie artistiche, al cinema d’autore, al giornalismo d’inchiesta, diventa obsoleto.
Rispetto al giornalismo televisivo, il giornalismo della carta stampata conserva per un certo periodo una propria identità. Oggi il giornalismo delle maggiori testate è un giornalismo mainstream. La riprova è data dal fatto che confrontando l’edizione cartacea ed online dello stesso quotidiano, possiamo constatare che le notizie “minoritarie”, scomode o non allineate al buon senso comune, sono relegate nella versione internet.
E veniamo al nocciolo del problema. La controinformazione, cancellata prima dal giornalismo televisivo e poi dalla stampa, ha oggi una sua rinascita online. L’idea che esista una rete libera da editori e da interessi privati, rende nuovamente possibile la ricerca di una maggiore oggettività, il confronto con l’altro, quello che per i media mainstream può essere il “nemico”.
Da tempo tutte le insurrezioni, le rivolte, le proteste minoritarie passano attraverso la rete.
Grillo ad esempio esalta la rete come unica forma di democrazia. La rete è l’unica possibilità che ci rimane di controinformazione come ci insegna il fenomeno Wikileaks. Ma purtroppo è anche la maggior matrice di disinformazione. Le bufale della rete, i sabotaggio dei troll, sono purtroppo egualmente noti a tutti. La verità è accessibile, ma mescolata a false verità, simulacri, deliri, che rendono difficile separare gli eventi reali dalla paranoia degli internauti che tendono a vedere ovunque complotti.
E veniamo al format. La prima cosa su cui abbiamo pensato di lavorare è il confronto tra diversi tipi di informazione: l’informazione televisiva, necessariamente mainstream, l’informazione scritta, sospesa tra il mainstream e la ricerca dello scoop ed infine il Net come fonte di notizie, da verificare e controllare.
L’esito è un programma in cui un evento non può avere una sola lettura, non solo perché si interpellano esperti di diversa formazione e cultura, ma anche perché si lavora sulle differenze dei media: l’inclusività e il conformismo televisivo, l’ibridazione di una stampa sospesa tra mainstream ed inchiesta, tra infotainment ed approfondimento. Ed infine il Net, in cui c’è tutto, il buono ed il cattivo, la verità e la lettura paranoica della verità.
L’esito di una notizia multisfaccettata, presentata da angolazioni diverse e quindi contraddittorie, ha lo scopo di farci riflettere sulla complessità degli eventi.
Vuol restituire al giornalismo la sua componente critica. La ripetizione funziona come omologazione dell’opinione pubblica. La differenza tra tesi opposte ci restituisce una sorta di libero arbitrio, una possibilità di scelta e di schieramento.