Protocollo deontologico per i giornalisti che trattano notizie concernenti carceri, persone in esecuzione penale, detenuti o ex detenuti.
Il Consiglio nazionale dei giornalisti esprime apprezzamento per l’impegno volontario dei molti colleghi che realizzano strumenti di informazione all’interno degli istituti di pena in collaborazione con i detenuti e che hanno dato vita alla Carta di Milano, fatta propria da numerosi Ordini regionali.
Richiamandosi ai dettati deontologici presenti nella Carta dei doveri del giornalista, con particolare
riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità e di non discriminare
nessuno per razza, religione, sesso, condizioni fisiche e mentali e opinioni politiche, riafferma il
criterio deontologico fondamentale del “rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati”
contenuto nell’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine nonché i principi fissati dalla
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dal Patto internazionale Onu sui diritti civili e politici
e dalla Costituzione italiana e dalla legislazione europea.
Consapevole che il diritto all’informazione può incontrare limiti quando venga in conflitto con i
diritti dei soggetti bisognosi di una tutela privilegiata, fermo restando il diritto di cronaca in ordine
ai fatti e alle responsabilità, e comunque di fronte a eventi di rilevanza storica e sociale o in
presenza di evidenti ragioni di interesse generale, il Cnog invita a osservare la massima attenzione
nel trattamento delle notizie concernenti persone private della libertà. Sopratutto in quella fase
estremamente difficile e problematica del reinserimento nella società – o, ancora, quando sia stata
scontata la pena – particolare attenzione va posta al diritto all’oblio che tutela dalla diffusione di dati
che riguardino precedenti giudiziari o comunque informazioni pregiudizievoli di analogo
argomento.
Il Consiglio nazionale invita quindi i giornalisti a:
1) Tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che può avvenire a fine
pena oppure gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l’accesso al lavoro esterno, i
permessi ordinari, i permessi-premio, la semi-libertà, la liberazione anticipata e l’affidamento in
prova ai servizi sociali;
2) Usare termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto usufruisce di misure alternative al
carcere o di benefici penitenziari evitando di sollevare un ingiustificato allarme sociale e di rendere
più difficile un percorso di reinserimento sociale che avviene sotto stretta sorveglianza. Le misure
alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena;
3) Fare riferimento puntuale alle leggi che disciplinano il procedimento penale e l’esecuzione della
pena e alla legge sull’ordinamento penitenziario (354 del 1975);
4) Fornire dati attendibili e aggiornati che permettano una corretta lettura del contesto carcerario;
5) Considerare che il cittadino privato della libertà è un interlocutore in grado di esprimersi e
raccontarsi, ma può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare
tutte le conseguenze e gli eventuali rischi dell’esposizione attraverso i media;
6) Tutelare il condannato che sceglie di parlare con i giornalisti, non coinvolgendo inutilmente i
suoi familiari, evitando di identificarlo solo con il reato commesso e valorizzando il percorso di
reinserimento che sta compiendo;