di Marco Mazzoni*
I politici sono sulle prime pagine dei principali settimanali di gossip, dei rotocalchi e delle riviste di attualità e costume con la stessa frequenza delle celebrità del mondo dello spettacolo. Le riviste patinate sono oggi uno degli strumenti preferenziali attraverso cui informazioni e pettegolezzi (pseudo)privati riguardanti la vita dei politici arrivano a un pubblico che molto spesso è lontano dalla politica, o, comunque, poco avvezzo a seguire l’evolversi del dibattito pubblico. Crozza-Berlusconi lo disse: “Tutti che mi criticano, il Wall Street Journal, il Financial Times, ma chi li legge? Sono in inglese! Quante copie vende Chi e quante il Financial Times? Coglioni!” (da Ballarò del 5 febbraio 2013).
Le riviste di costume, attualità e gossip hanno acquisito una rilevanza considerevole nel panorama politico italiano, a maggior ragione durante i periodi di campagna elettorale, una fase di confronto-scontro politico fisiologicamente caratterizzata da toni gridati e attacchi personali. La sempre maggiore attenzione che la stampa patinata riserva ai politici del nostro paese determina importanti effetti, politicamente significativi, anche sul tipo di lettori che si avvicina a questi strumenti “non convenzionali” di comunicazione politica. È una nuova forma di “going public”, sebbene acquisisca tonalità e sfumature cangianti a seconda di chi sono le personalità politiche in questione, che per i leader politici rappresenta una preziosa opportunità per instaurare un canale comunicativo con una fascia di cittadini (ed elettori) difficilmente raggiungibili attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione politica convenzionale.
Di fatto, viviamo nell’era della politica pop. Nel 2009 Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini pubblicano un volume dal titolo: “Politica pop. Da Porta a Porta a L’isola dei famosi”. Il testo in questione mostra come anche in Italia, alla pari di altri paesi occidentali, i linguaggi della politica e i codici dell’intrattenimento vadano progressivamente accavallandosi, arrivando, in alcune circostanze, addirittura a sovrapporsi. In particolare, nell’era che stiamo vivendo, il politico moderno gioca un doppio ruolo. Per rafforzare il suo consenso è chiamato a gestire e a promuovere non solo la sua immagine pubblica, ma anche quella privata. Più esattamente, far circolare informazioni sul suo privato oppure evitare che circolino informazioni del suo privato che potrebbero danneggiarne la reputazione diventa un’azione importante tanto quanto lanciare la propria proposta politica, in quanto permette al leader politico di (ri)avvicinarsi alla gente comune.
Quando parliamo di politica pop, infatti, ci riferiamo a una politica (più) popolare, a una politica per tutti e quindi più comprensibile, più “vicina” alla gente: i leader si fanno più “umani”, hanno una vita come tanti e assomigliano all’uomo della strada. L’intreccio tra dimensione pubblica e privata è la vera novità, che mostra come l’intrattenimento (in particolare quello prodotto dalle riviste di attualità e gossip) non sia più soltanto il luogo del divertimento, ma anche quello in cui il politico promuove se stesso e la sua vita.
Oggi i media rappresentano il canale privilegiato all’interno del quale le diatribe e i dibattiti politici circolano ed entrano nelle case delle persone. A tal riguardo, Altheide e Snow, due sociologi americani, parlarono già nel 1979 di commistione tra media logic e political logic: al fine di adattarsi alla crescente centralità detenuta nelle società moderne dai mezzi di comunicazione di massa, la politica riadatta i propri linguaggi, i propri codici, e spesso, i propri tempi. Nell’era della politica pop, quotidiani come il Corriere della Sera e trasmissioni televisive come Porta a porta, a lungo identificata addirittura come “la Terza Camera”, rappresentano sempre delle arene ideali in cui il leader può narrare al grande pubblico la sua visione politica, spiegare agli elettori il Paese che ha in mente, e snocciolare la proposta programmatica che sottende a tale visione. Tuttavia, molto raramente in questi format il politico racconta se stesso. Ed è difficile che possa farlo.
Per tale ragione, se i politici individuano nel principale giornale italiano e nel salotto di Bruno Vespa un’arena preferenziale per discutere di alleanze e scenari politici, al tempo stesso, trovano nei settimanali di attualità e di gossip l’ambiente ideale per svelare a un pubblico politicamente non convenzionale particolari legati alla loro vita umana piuttosto che politica. E questa rappresenta un’importante evoluzione del processo di assimilazione dei canoni della media logic. Non solo la politica fa propri i codici della comunicazione di massa, ma è anche in grado di adattarsi, con modalità tuttavia variabili da caso a caso, ad ambienti mediali anche profondamente diversi tra loro, funzionanti secondo logiche e regole opposte.
Francesco Alberoni ha sottolineato come per molto tempo gli italiani, a differenza degli anglosassoni, abbiano tenuto la vita politica separata dalla vita privata. Il pettegolezzo sulle storie d’amore, i figli, la famiglia riguardava i divi dello spettacolo, non i politici. Non che il leader di partito nell’epoca dei partiti di massa non avesse una forte personalità; di fatto, aveva, se pensiamo a De Gasperi, Togliatti, Nenni solo per fare alcuni nomi, una forte personalità carismatica, ma la loro fisicità e la loro vita personale non erano oggetto di particolare interesse pubblico. In quel periodo, gli italiani che affollano le piazze non sono affascinati dall’uomo, ma dal politico. Nessuno conosceva il nome della moglie di questo o quel politico e poco interessava, nemmeno alle testate giornalistiche, se era divorziato o avesse amanti: eravamo nell’Italia dominata dalla Democrazia Cristiana, in cui probabilmente la gente dava anche per assodato che il politico fosse sposato. Famosa per l’eccezionalità fu la serie di fotografie di De Gasperi assieme alla sua famiglia nella casa di montagna nelle Dolomiti; mentre per gli altri personaggi della politica non era nemmeno possibile parlare di eccezioni, rispetto ad una riservatezza totale. Il politico insomma andava valutato soprattutto per le sue qualità politiche e per le sue capacità di governo, e, comunque, non sicuramente per i suoi amori o per la sua vita familiare. Non a caso, l’unico tradimento riconosciuto, in grado anche di richiamare l’attenzione del giornalista, era il “tradimento politico”: voltare le spalle alle decisioni prese dal proprio partito di appartenenza, soprattutto nel segreto dell’urna durante un voto importante in assemblea parlamentare, era il vero scandalo. E si provava un grande stupore quando dall’altra parte dell’oceano giungevano notizie di politici costretti a rinunciare a correre per una carica politica perché divorziati o per aver tradito il proprio partner.
In Italia il pettegolezzo amoroso come arma politica è sempre stata un’eccezione, almeno fino a quando non arriva Silvio Berlusconi. Con lui il gossip diventa rilevante dal punto di vista politico. Molto, sicuramente, dipende dalla marcata propensione allo scandalo che caratterizza il personaggio politico, dalle telenovele estive con Noemi e D’Addario e dalla decisione (molto mediatica) di Veronica Lario di separarsi da lui. Ma c’è di più. Berlusconi, infatti, è stato uno dei primi politici ad aver capito che il leader (post)moderno promuove la sua immagine pubblica anche aprendo agli occhi esterni la sua dimensione privata. I suoi eccessi uniti anche ai suoi successi non hanno soltanto provocato una desacralizzazione della politica, ma gli hanno anche permesso la diffusione di un particolare modello di vita. Un comportamento questo paragonabile a quello delle celebrità, sempre attente a promuovere e rendere visibile il loro modello di vita, e che soprattutto sembra essere accettato dalla gente comune, come si può dedurre da quegli studi in cui è stato mostrato che votando per Berlusconi gli italiani hanno scelto cosa Berlusconi stava proponendo come modello di vita quotidiana.
In altre parole, la proposta, corroborata da ricerche che sto portando avanti insieme al collega Antonio Ciaglia (University of the Witwatersrand, Johannesburg), è che anche in Italia il politico va considerato come una celebrità. Un volume di Mark Wheeler del 2013, dal titolo emblematico, “Celebrity Politics”, mostra come lo status di celebrità coinvolga tutti i principali leader politici, per il semplice fatto che i leader politici tendono sempre più a comportarsi come le star del mondo dello spettacolo. A volte sono gli stessi politici a contattare i paparazzi per essere fotografati in alcuni momenti della loro vita mondana. E il motivo dovrebbe essere abbastanza chiaro: i politici utilizzano la celebrità alla stregua di un’”arma politica” con l’obiettivo di rafforzare in primo luogo la loro visibilità e successivamente il loro consenso. La letteratura internazionale conferma quanto appena detto citando i casi di Ronald Reagan, Bill Clinton, Barack Obama e Tony Blair. Le nostre ricerche ci dicono che si può aggiungere a questo elenco, dando uno sguardo a ciò che sta succedendo nel nostro paese, anche i principali leader politici italiani. E di esempi se possono fare tanti. Guardando all’ultimo periodo, non si può tralasciare come si sia costruito la visibilità l’attuale presidente del Consiglio. Matteo Renzi ha partecipato alla “Partita del Cuore”, al programma televisivo di Amici (vestito come Fonzie) e ha deciso di rilasciare frequenti interviste a Chi e a Vanity Fair; l’obiettivo è apparso piuttosto chiaro: rafforzando la sua notorietà tra la gente sarebbe stata più agevole la sua scalata alla segreteria del Pd e poi alla presidenza del Consiglio.
Dietro tali cambiamenti, va riconosciuto il ruolo cruciale giocato proprio dai mass media, che hanno determinato il passaggio, ben descritto dal politologo francese Bernard Manin, dalla tradizionale “democrazia dei partiti” alla “democrazia del pubblico”. La “democrazia del pubblico” si contraddistingue per il progressivo allentamento dei legami subculturali e di rappresentanza degli interessi tra partiti ed elettori, tra governo e cittadini. La politica mediatizzata marca una nuova fase della vita democratica, una fase caratterizzata da una relazione diretta, ancorché mediata, tra leadership e cittadini, creando anche una nuova idea di interazione politica, un nuovo modo di fare politica, in cui agire politico ed agire comunicativo mediato non sono più distinguibili. Potremmo dire che nella “democrazia del pubblico” è la già citata “logica dei media” che ispira e governa il funzionamento tanto del mondo dello spettacolo quanto di quello della politica. Pertanto, in questo contesto, “pubblico” non si riferisce a ciò che interessa tutti, né all’arena idealtipica in cui vengono discussi argomenti che sono di rilievo generale. Bensì, evoca il cittadino-spettatore di fronte alla messa in scena della politica-spettacolo. Di fatto, però manca ancora un elemento che va evidenziato. Ed è qui che si focalizza maggiormente la mia “curiosità” di studioso.
Oggi democrazia del pubblico si sta sempre più traducendo, come notato anche da Ilvo Diamanti, in “democrazia del privato”. Dove i fatti personali e familiari diventano di pubblico interesse e non perché siano di interesse pubblico, ma perché interessano al pubblico. Ecco perché la politica pop non è soltanto un costrutto teorico o un paradigma interpretativo di una buona parte delle forme contemporanee di comunicazione politica ed elettorale, ma è un fenomeno con ampi riscontri fattuali, anche in un paese, come l’Italia, storicamente refrattario all’assorbimento indiscriminato e repentino di fenomeni sociali (e comunicativi) provenienti da Oltreoceano. In conclusione, il politico è una celebrità, perché la sua vita privata attira la curiosità delle persone come quella di una star del mondo dello spettacolo o dello sport; e come avviene per tutte le celebrità, inevitabilmente nella vita del politico si va sfaldando, come già Erving Goffman aveva previsto, ogni forma di distinzione fra dimensione pubblica (scena) e dimensione privata (retroscena). Al punto da divenire un politico “da copertina”.
*Marco Mazzoni (Università di Perugia) è uno dei coordinatori didattici del Centro