intervista a Luciano Violante di Mario De Pizzo
Luciano Violante è stato un protagonista della vita parlamentare e della sinistra italiana. Da tempo ha lasciato la politica attiva ed è tornato all’insegnamento (tiene corsi di Istituzioni di diritto pubblico alla Sapienza di Roma). Nel libro-intervista “Il primato della politica”, pubblicato da Rubbettino, Violante risponde alle domande del giornalista di Rai News 24, Mario De Pizzo, e lo fa con il distacco di un uomo che ha visto passare tanta acqua sotto i ponti e che, rispettando l’impeto dei giovani senza umiliare il passato, non vuole consegnare ricette apodittiche alle nuove generazioni. L’intervista, infatti, è soprattutto questo: un dialogo intergenerazionale, franco e senza steccati, tra l’ex presidente della Camera, che sta per compiere 73 anni e che spiega quando arriva il momento di “mettersi sobriamente da parte”, e il giovanissimo Mario De Pizzo, che di anni ne ha 29 (e che, ci piace sottolineare, è stato un allievo della nostra Scuola di giornalismo radiotelevisivo). Da “Il primato della politica” pubblichiamo alcune domande e risposte del capitolo “I vecchi e i giovani”.
Nella politica italiana è il momento dei quarantenni. Oltre a Matteo Renzi, anche Angelino Alfano, Matteo Salvini e Giorgia Meloni guidano importanti partiti italiani. Niente di straordinario, sono semplicemente in linea con gli standard occidentali. Come giudica questa nuova “linea” di giovani leader?
Come in tutto, non si può generalizzare. L’anagrafe di per sé non è un vaccino, né un virus malefico. C’è un nuovo più rituale come Meloni, Alfano e lo stesso Enrico Letta e un nuovo più irrituale e di rottura come Renzi o Salvini. Naturalmente ognuna di queste personalità ha un suo carattere, un suo sistema di valori e un suo stile. La nuova generazione è tutta profondamente condizionata dal sistema comunicativo. Il messaggio politico è breve, sintetico, emozionale. A volte sintetizza un pensiero profondo, ma non lo lascia intravedere sempre. Più spesso è un giudizio tranchant, che smuove i giornalisti, ma lascia indifferenti i cittadini. Non è detto che il pensiero profondo debba essere per forza pesante; può essere anche leggero. Le Lezioni di Italo Calvino lo insegnano. Nella mia generazione, è più facile distinguere una riflessione da una banalità.
Questa nuova generazione forse è meno divisa, meno lacerata dalle battaglie del passato e può concentrarsi di più sulle cose da fare. Sulle politiche più che sulla politica, sulle risposte, più che sulle polemiche.
Sembra anche a me che sia meno divisa. Certamente non si porta dietro i “pesi” della nostra generazione. Soprattutto vivrà nel futuro e perciò è più idonea a costruirlo. Noi in quel futuro non vivremo e quindi siamo meno idonei di loro a costruirlo. Poi se vogliono una mano, benissimo. Ma è opportuno che siano loro a chiederla.
Quale sarà il compito principale della nuova classe dirigente? Le cose da fare sono tantissime, c’è da ricostruire un Paese.
Gli antichi partiti hanno portato le masse nello Stato, educandole alla legalità e alla vita della Repubblica. La loro scomparsa e la mancata sostituzione con forze della stessa robustezza ideale le sta riportando fuori dallo Stato. Il compito delle nuove classi dirigenti è proprio quello di riportare i cittadini ad avere un rapporto positivo con le istituzioni, e le istituzioni a rispettare i cittadini. Ricondurre la masse nello Stato, per usare un’antica espressione: superare l’attuale frattura tra società e politica, per avvalersi di una espressione più moderna.
Ma in generale come giudica i giovani italiani?
Nei primi nove mesi del 2013, il 34% delle imprese aperte ha un titolare sotto i 35 anni; lo stock di queste imprese ammonta a 675.000 unità e costituisce l’11% del totale delle imprese che operano in Italia. In campo agricolo, nel 2013, sono nate 11.485 imprese, il 50% nel Sud, e il 17% ha un titolare di età inferiore ai 30 anni. Migliaia di giovani sono dediti al volontariato. Una parte significativa dei giovani si sta mettendo in marcia. Non è tutto. Vedo anche io che una parte delle generazioni giovani rischia l’inabissamento perché non riesce a disincagliarsi, per le condizioni economiche o perché è sfiduciata. Le fasi di crisi economica sono un terribile setaccio per tutte le generazioni. Ma se si dà una prospettiva, se la si smette con il piagnisteo, la autocommiserazione, la irresponsabilità anche i più deboli cominciano a credere in se stessi.
Dicevamo che Matteo Renzi ha cominciato con la rottamazione, anche se, dopo averla usata per “farsi conoscere”, ha cercato un rapporto diverso con la classe dirigente che lo ha preceduto.
Nel paragrafo 17 dell’ottavo Quaderno, Gramsci scrive che “una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente […]. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza.” Il giudizio di Gramsci forse è troppo drastico, ma aiuta a riflettere. In ogni caso non c’è dubbio che esiste una frattura generazionale tanto nella società, dove una nuova generazione di non protetti si contrappone a una vecchia generazione di super tutelati, quanto nella politica. Nella nascita della contrapposizione generazionale le precedenti classi dirigenti del Pd hanno avuto una notevole dose di responsabilità. Non si sono occupati del passaggio di testimone, ritenendosi buone per tutte le stagioni. La “rottamazione” è stata la risposta sommaria a un problema effettivo.
La sua generazione ha ormai lasciato la scena. Qual è il suo bilancio?
Io sento che, con errori, abbiamo fatto il nostro lavoro. Avremmo potuto concludere meglio, con meno personalismi e più senso collettivo. Ma richiamo Gramsci: se buttiamo via tutto il passato, non capiamo nulla del presente. Per la prima volta abbiamo portato la sinistra al governo, abbiamo reso il partito competitivo, abbiamo portato l’Italia nell’euro. Abbiamo combattuto e vinto i diversi terrorismi, di destra e di sinistra, e le manovre eversive contro la democrazia. Abbiamo impostato e combattuto quella lotta contro la mafia che ha portato all’arresto di quasi tutti i capimafia e alla sottrazione alle loro organizzazioni di beni per milioni e milioni di euro. Poi abbiamo anche fatto errori, non badando alla solidità della organizzazione politica, alla costruzione del partito come comunità. Con eccessi di leaderismo e di personalismo. Ora dobbiamo metterci sobriamente da parte.
Ma oltre alla rottamazione, i giovani cosa dovrebbero fare?
Ricostruire il rapporto con la generazione precedente e, su questa base, adempiere alle proprie responsabilità. I continui nuovi inizi, che vogliono buttare via tutto ogni volta, finiscono o in tragedia o in farsa. Se fosse la mia generazione a cercare di ricostruire quel rapporto, sarebbe difficile sfuggire ai personalismi. E tuttavia i giovani che vogliono impegnarsi in politica non possono privarsi della esperienza e della conoscenza dei vecchi. Non per seguire il loro esempio, ma per capire i principi che governano i fatti politici e sfuggire al mito del potere per il potere.
Lei dopo un percorso istituzionale, a un certo punto ha deciso di lasciare. Perché?
Ho deciso di non ricandidarmi, nel 2008, perché il lavoro parlamentare non mi interessava più e perché sentivo l’esigenza di lasciare spazio a nuove giovani capacità. A Montecitorio ho presieduto tutto il presiedibile: la Commissione Antimafia, la Commissione Affari Costituzionali, il Gruppo Parlamentare, la stessa Camera. Era diventata quasi una routine, senza spirito creativo, e mi capitava a cogliermi a guardare dall’alto in basso i più giovani, che è sempre un errore di supponenza, anticamera della stupidità. Sono legato al modello gramsciano: il politico come creatore e come suscitatore. Quando mi sono accorto che queste doti si andavano esaurendo ho tirato il freno a mano e sono sceso. Non ho preso da solo quella decisione; l’ho comunicata tempestivamente ai dirigenti del mio partito. D’altra parte ero stato trent’anni alla Camera. Ho perciò deciso di tornare a insegnare, per restituire ai giovani universitari un po’ di quello che avevo ricevuto in trent’anni di intensa vita parlamentare. Inoltre con alcuni amici ho costituito “italiadecide”, un centro di ricerca apartisan sulla qualità delle politiche pubbliche. Il presidente onorario è Carlo Azeglio Ciampi, questo può chiarire la nostra ispirazione.